Per anni l’industria cinese dell’auto elettrica ha investito con una certa cautela, scegliendo attentamente dove destinare i propri capitali. Una strategia che nel breve periodo ha dato i suoi frutti: la domanda di veicoli elettrici e ibridi plug-in è infatti esplosa.

Poi, però, il mercato in patria ha raggiunto un punto critico: troppi marchi e modelli, a fronte di un numero insufficiente di acquirenti, persino nel secondo Paese più popoloso al mondo.

Oggi, perciò, il settore si orienta sempre di più verso l’export: una svolta che avrà conseguenze rilevanti in tutto il resto del mondo.

Fra sovrapproduzione e guerra dei prezzi

Già l’anno scorso i costruttori cinesi erano stati accusati di produrre a un ritmo ben superiore a quello che il mercato interno fosse in grado di assorbire. Parker Shi, responsabile delle operazioni internazionali di Great Wall Motors, aveva replicato al Financial Times sostenendo che il concetto stesso di “sovraccapacità” fosse in realtà “fittizio”.

“Non mi piace quel tipo di giudizio da parte di terzi: non sanno cosa accade a casa mia”, le parole di Shi.

A distanza di poco più di un anno, però, il mercato EV cinese appare in seria difficoltà. Una guerra dei prezzi e le pressioni dei Governi locali per raggiungere specifiche quote di produzione hanno spinto molti marchi ad adottare pratiche discutibili: dalla vendita di auto elettriche usate spacciate per chilometri zero alla massiccia esportazione di veicoli sui mercati internazionali.

Il risultato? Adesso, per la prima volta, le aziende investono più all’estero che in patria.

Estero batte casa 16-15

A dirlo è il Rhodium Group, società di ricerca che, in un nuovo report riferito al 2024, parla di “cambiamento storico” negli investimenti cinesi sull’elettrico. Dopo anni in cui l’80% dei capitali era rimasto all’interno dei confini, la Cina ha destinato 16 miliardi di dollari (13,7 miliardi di euro) a investimenti oltreconfine, contro i 15 miliardi di dollari (12,87 miliardi di euro) investiti nel mercato interno.



BYD Dolphin Surf (2025) in a short test

Foto di: BYD

Colpa (o merito) anche dei dazi

Secondo quanto riportato da Bloomberg, la ragione di questa svolta è chiara:

“Le aziende cinesi sono spinte a espandersi su scala globale perché la sovraccapacità e una lunga guerra dei prezzi in patria stanno comprimendo i margini lungo l’intera filiera. Inoltre, cercano di aggirare i dazi punitivi in Europa e negli Stati Uniti costruendo stabilimenti produttivi in loco, rispondendo così anche alla richiesta dei clienti stranieri di una produzione più vicina ai mercati di sbocco”.

“Il fatto che gli investimenti all’estero superino ora quelli interni riflette la saturazione del mercato cinese e l’attrattiva strategica dell’espansione internazionale per ottenere rendimenti più alti”, aggiunge Armand Meyer, senior research analyst del Rhodium Group e coautore del report.

Secondo lo studio, circa tre/quarti degli investimenti esteri provengono dai produttori di batterie. Aziende come CATL stanno seguendo i clienti nei mercati d’origine, spinte dalle tariffe che rendono indispensabile localizzare la produzione e ridurre i costi di trasporto.

Ma ci sono anche (annosi) problemi

Queste aziende stanno però scoprendo che gli investimenti all’estero non portano profitti immediati.

Se in Cina nuove fabbriche possono essere costruite e avviate nel giro di pochi mesi, in Europa, Messico e Stati Uniti l’inizio della produzione può richiedere anni. A complicare le cose ci sono montagne di burocrazia e intrighi politici. Il rapporto segnala che solo il 25% dei progetti all’estero è stato completato, contro un tasso del 45% di quelli avviati in patria.

Anche a Pechino cresce la preoccupazione. Il Governo teme il trasferimento di tecnologie sensibili, la perdita di posti di lavoro e la cosiddetta “desertificazione industriale”. Timori che, secondo Rhodium, potrebbero tradursi in controlli più rigidi sugli investimenti esteri da parte delle autorità cinesi.

Il peso simbolico di questi numeri è enorme. Per la prima volta nella storia, il futuro elettrico della Cina si costruisce fuori dai confini nazionali. Se gli investimenti già avviati daranno i frutti sperati è tutto da vedere; ciò che è certo è che questa svolta, anche geopolitica, mostra quanto globale e rischiosa sia diventata la transizione dai motori a combustione all’elettrificazione.



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