Il raffreddamento dei motori elettrici è una sfida che l’industria dell’auto ha già ampiamente superato: basta far circolare il liquido refrigerante attraverso i tubi, passare aria in un radiatore delle giuste dimensioni e il gioco è fatto. Ma dietro le quinte c’è una fine ingegneria termica che deve assicurarsi che ogni componente riceva la quantità giusta, al posto giusto e al momento giusto.

Il team di Munro & Associates, guidato dall’ingegnere Sandy Munro, è voluto andare più a fondo e ha smontato due motori elettrici per capire come vengano gestite le temperature all’interno: uno del Tesla Cybertruck, forse simbolo della tecnologia più avanzata nella Silicon Valley, e l’altro della Chevrolet Equinox, rappresentante invece della filosofia più pragmatica di Detroit nel creare una piattaforma elettrica accessibile.

Il confronto mostra come le due Case abbiano strategie diverse.

L’approccio di GM: semplice ma geniale

Il responsabile tecnico Paul Turnbull spiega che General Motors ha scelto la via della semplicità intelligente.

Invece di utilizzare pompe e circuiti complessi, GM sfrutta la rotazione del motore per far “volare” l’olio verso l’alto. Questo, una volta lanciato nelle canaline fuse nel carter, cade sul resto del motore, raffreddando contemporaneamente gli avvolgimenti, i magneti e la struttura metallica.

È un sistema economico, ingegnoso e affidabile, con pochissime parti mobili soggette a guasto. In più, non consuma energia della batteria per alimentare pompe esterne o altri dispositivi di raffreddamento.
Una soluzione simile era stata utilizzata da Toyota oltre dieci anni fa sulla Prius C.

Il metodo ha però dei limiti fisici: l’efficacia dipende dalla velocità di rotazione del motore. Funziona bene ad alte velocità, quando l’olio viene “lanciato” in abbondanza, ma meno a bassi regimi, come nel traffico. In situazioni particolari come pendenze accentuate o guida sportiva, poi, il “raffreddamento a pioggia” diventa irregolare, non garantendo un flusso uniforme sulle parti più calde del motore.

L’approccio di Tesla: precisione chirurgica

Tesla, al contrario, adotta una soluzione più sofisticata e controllata. Utilizza una pompa ad alta pressione per spingere l’olio in canali dedicati, dove il fluido scorre esattamente sopra gli avvolgimenti elettrici e i magneti, mantenendoli alla temperatura ideale.

Questa precisione permette di usare magneti al neodimio meno costosi (anziché quelli a terre rare) e di ottimizzare il raffreddamento dove serve davvero, senza “sprecarlo” sul resto della struttura.
Di conseguenza, il carter del motore rimane più caldo rispetto alle parti interne. Il vantaggio? Un involucro più caldo aumenta la resistenza elettrica del metallo, riducendo la formazione di correnti parassite (eddy currents), piccole spirali di elettricità formate da continui cambi di campo magnetico e che dissipano energia sotto forma di calore inutile.

Il rovescio della medaglia è che la pompa e l’impianto di raffreddamento consumano energia. Ma anche il sistema di GM ha delle perdite meccaniche dovute alla resistenza fisica dell’olio in movimento. La soluzione Tesla richiede anche più componenti, più lavorazioni di precisione e più costi di produzione, ma offre un controllo termico superiore e garantisce prestazioni più elevate.

Filosofie opposte, ma entrambe valide

In sintesi:

  • GM si affida alla fisica e alla semplicità del moto meccanico
  • Tesla si affida all’ingegneria dei fluidi e alla precisione elettronica

Il risultato? Entrambi i metodi funzionano perfettamente, ma rispecchiano due visioni diverse dell’auto elettrica. GM punta sulla robustezza e sull’affidabilità a basso costo, Tesla sulla massima efficienza e raffinatezza tecnologica.



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